In Italia, si sa, il cibo ha un ruolo centrale nella vita quotidiana, e anche nella letteratura.
Dal Nord al Sud, l’arte in cucina racconta tradizioni, usi, valori sociali, e rivela come il cibo rappresenti un aspetto importante della cultura e della storia italiana. Tre autori – Gadda, Artusi e Camilleri – hanno saputo trasformare il gesto di cucinare e l’illustrazione delle ricette in uno strumento per comprendere e descrivere la società e la cultura del loro tempo: la cucina diventa, così, un riflesso di identità, tradizioni e luoghi.
Cibo e letteratura si fanno, dunque, veicoli di narrazione e comprensione sociale.
Il cibo nella letteratura italiana: più di una metafora, un linguaggio
Fin dal Rinascimento, gli scrittori hanno utilizzato il cibo e l’abilità culinaria per delineare consuetudini, gerarchie e stili di vita: le corti italiane, i banchetti e i trattati di cucina dell’epoca mostrano come la gastronomia fosse considerata un indicatore culturale e sociale.
Con il passare dei secoli, questa pratica si è evoluta e, dal realismo dei racconti domestici ottocenteschi fino alla prosa contemporanea, il cibo diventa un linguaggio per rappresentare identità, appartenenza e contrasti regionali.
Attraverso la scelta degli ingredienti, la modalità di preparazione dei piatti o la descrizione delle tavole, gli scrittori raccontano abitudini condivise e comportamenti civili, in modo tale da offrire ai lettori una fotografia della società.
Le opere di Gadda, Artusi e Camilleri ne sono esempi emblematici: ciascuno interpreta il rapporto tra cibo e scrittura secondo la propria prospettiva, e tratteggia la realtà della propria epoca e le differenze regionali, senza limitarsi a proporre ricette, ma utilizzando la cucina come chiave di lettura per comprendere modi di vivere e valori.


La Milano borghese di Carlo Emilio Gadda: il risotto come rigore e pensiero tecnico
Nel contributo pubblicato nel 1959 sulla rivista Il Gatto Selvatico e ripubblicato nel 1963 nell’opera Verso la Certosa, Carlo Emilio Gadda descrive con minuzia il procedimento per cucinare il risotto patrio, ovvero il risotto alla milanese. La sua narrazione, precisa tanto da sfiorare il metodo scientifico e alleggerita da un’ironia sottile, fa del risotto una questione di equilibrio e controllo, dove grammi e minuti sembrano fungere da spartito per una “sinfonia domestica”.
In questo modo, Gadda dimostra come cucina e letteratura possano intrecciarsi e trasformare il racconto di una ricetta in una piccola indagine sulla società e sui costumi borghesi milanesi. La scelta degli ingredienti, il tempo di cottura, gli utensili da cucina e il loro materiale, oltre che i gesti seppur minimi e misurati, assumono rilievo e rendono la cucina uno spazio di osservazione della vita borghese meneghina, dove la disciplina quotidiana trova un corrispettivo puntuale nella cura meticolosa dei dettagli culinari.
Pellegrino Artusi e la Bologna dell’Italia unita: la cucina come arte domestica
La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, che Pellegrino Artusi pubblicò per la prima volta nel 1891, opera considerata come il manifesto della cucina italiana, è un manuale che offre molto più di una semplice lista di ricette: l’autore infatti descrive con precisione i gesti quotidiani propri della cucina borghese dell’Italia post-unitaria e, al contempo, indica tempi di cottura, quantità e strumenti necessari per preparare ottime pietanze.
Le pagine dedicate ai maccheroni alla bolognese, alle zuppe e ai dolci evidenziano che per ottenere piatti equilibrati e gustosi è necessario dare massima importanza alla misura e alla coerenza durante la fase della preparazione.
Attraverso descrizioni di metodo e considerazioni personali, Artusi mette in luce come libri e cucina possano interagire in armonia, così che le ricette diventino degli autentici strumenti di conoscenza e di trasmissione dei valori civili e delle consuetudini domestiche dell’epoca.
Il lettore, difatti, percepisce l’atmosfera di una cucina ordinata, dove ogni passaggio del procedimento ha un ruolo preciso, sullo sfondo di una Bologna e di un’Italia ottocentesca ricche di vita e di tradizione.

Andrea Camilleri e la Sicilia: la cucina come segno di appartenenza
Nei romanzi di Andrea Camilleri, il cibo non è soltanto un elemento centrale nella vita del commissario Montalbano, è una componente essenziale della narrazione.
È Adelina, la sua fedele cameriera, a preparargli piatti succulenti, spesso a base di pesce fresco, che gli lascia custoditi con cura nel frigorifero.
Per Montalbano, il momento della tavola è un rito sacro da celebrare rigorosamente in silenzio: quando gli viene il pititto, un improvviso appetito, si abbandona completamente al piacere del cibo, dilettandosi ad assaporare preparazioni ricche a base di ingredienti genuini che raccontano la terra e le tradizioni siciliane.
Tra i piatti più citati figurano la pasta ‘ncasciata (una meraviglia di pasta al forno condita con melanzane fritte, caciocavallo, uova sode, mortadella e ragù di carne nella versione messinese, a differenza della versione palermitana che prevede al posto del ragù la sola passata di pomodoro), che Camilleri definisce come “degna dell’Olimpo”, e le linguine al nero di seppia, entrambi presenti ne Il cane di terracotta, oltre alla caponatina di melanzane e agli immancabili arancini, cui l’autore ha dedicato il titolo di un’intera opera.
La caponatina, in particolare,è evocata ne La gita a Tindari come un’esplosione di sapori spontanei e armoniosi, che richiamano nella bocca del commissario le note della marcia trionfale dell’Aida; una vera prelibatezza.
Questi riferimenti gastronomici non sono semplici dettagli scenografici: rappresentano la ricchezza della tradizione siciliana, il legame tra cibo, affetto, continuità culturale, e fanno della cucina, e della sua narrazione, un simbolo di identità e di appartenenza territoriale.
>>> RICETTA: Risotto alla milanese
>>> RICETTA: Maccheroni alla bolognese
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Scritto da Carlotta Bonsegna
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