L’economia circolare non è un vezzo, né una moda passeggera. Riutilizzare e riciclare per dare vita a nuovi prodotti non è solo ecologico e sostenibile per il pianeta, ma anche e soprattutto una questione di innovazione e di mercato.
È grazie all’economia circolare che ogni anno vengono immessi sul mercato nuovi e rivoluzionari prodotti che conquistano masse di consumatori oppure si inseriscono in filiere industriali per fornire alle aziende materiali innovativi provenienti da dove nessuno poteva immaginare.
Ed è così che si creano tessuti dalle arance, si fa la birra con il pane, si fanno scarpe con le mele, solette con i gusci delle noci e tanto altro ancora. I consumatori e le aziende comprano, le startup guadagnano e investono in ricerca e il pianeta ci guadagna. E l’Italia? Beh, l’Italia non resta certo a guardare. Ecco le migliori startup che hanno avuto una idea meravigliosa. E circolare.
Trasformare il pane invenduto in birra artigianale

Ogni giorno in Italia rimangono invenduti 13 mila quintali di pane, una cifra gigantesca. Come fare per recuperare almeno in parte tutto questo invenduto? Alla Biova Project di Torino hanno pensato di farci la birra. “Beer against waste” consiste nel recuperare il pane invenduto da supermercati, panetterie, catene di ristoranti o fast food e portarlo nei birrifici vicini ai luoghi di raccolta dove viene tostato, sbriciolato e trasformato in birra.
Questo processo riesce a trasformare 150 chili di pane in 2500 litri di birra artigianale permettendo di risparmiare sulle materie prime impiegate, in particolare sul malto d’orzo, col risultato che alla fine del processo produttivo si ottiene anche una diminuzione consistente di emissioni di CO2. Ma a Torino non sono gli unici a trasformare materie seconde in materia prima.
Scendendo giù lungo lo stivale, si trovano altre storie, altro pane e altre birre. Nel Mugello, in Emilia Romagna, la birra di pane la fa una collaborazione fra il Granaio dei Medici, il Consorzio di Tutela Pane del Mugello, Coldiretti e Unicoop Firenze. Il pane invenduto del Mugello viene consegnato al birrificio Corzano che lo sostituisce parzialmente al malto previsto nella ricetta. Sempre in Emilia, a Parma, la birra con il pane la fa il panificatore Enrico Giacomazzi con il progetto Re-Bread.
Dopo qualche mese di ricerca è arrivato Farnese di Fontevivo. Alle prime bottiglie, si sono progressivamente affiancati i fusti da 20 litri che consentono di servire la birra alla spina e, da ultimo, la versione proposta in lattina, particolarmente adatta per conservare le caratteristiche organolettiche della birra Re-Bread.
Nel Lazio la birra di pane la fanno Slow Food Italia e il birrificio Alta Quota di Cittareale (Rieti) assieme a Eataly con il progetto “AncestrAle”. La materia prima di qualità è fornita da Eataly Roma Ostiense che, quotidianamente, conferisce il pane avanzato, prodotto con le farine pregiate macinate a pietra del Mulino Marino, al birrificio Alta Quota che produce la birra che poi rientra in Eataly per la vendita.
Un esempio di economia circolare alimentare andata e ritorno. Anche al sud non mancano esempi di birrifici che vanno a pane. A Lecce “L’OriginAle” è una birra artigianale salentina, prodotta dal birrificio Malatesta di Lecce, che mescola pane e luppolo utilizzando il pane del panificio di famiglia Schipa a Castromediano Cavallino.
Dagli scarti delle mele (e non solo) prodotti di cosmetica sostenibile
La startup Naste Beauty propone una innovativa “linea di skincare sostenibile e biologica”. Il riciclo delle mele è un problema molto serio: oltre la metà delle mele che potrebbero essere immesse sul mercato viene scartata dalla vendita per difetti estetici e destinata all’estrazione di succo. Quest’ultima genera a sua volta uno scarto del 40 per cento circa. L’idea di Naste Beauty è di utilizzare la polpa di mela per creare dei cosmetici di alta qualità e pienamente sostenibili.



Il riciclo avviene tramite lavorazioni alimentate da energie rinnovabili, al fine di ottenere un ingrediente funzionale e naturalmente antiossidante per la presenza certificata di nutrienti naturali, tra cui polifenoli, fibre, catechine e zuccheri, che viene utilizzata nei cosmetici.
L’ingrediente riciclato finisce in numerosi prodotti: creme antiossidanti e idratanti, maschere astringenti e anti-impurità, sieri viso illuminanti e antiossidanti, detergenti purificanti, prodotti per il corpo per la detersione, l’esfoliazione e il nutrimento, e prodotti per la cura dei capelli come shampoo, balsamo, maschere. Tutti i prodotti sono naturali, a base di pasta di mele.
Anche Kymia, il cui nome è connesso al termine “alchimia”, ovvero l’arte di trasformare i metalli vili in oro, converte uno scarto in una risorsa preziosa trasformando quel che resta del pistacchio, un ingrediente pregiato della tradizione culinaria siciliana, in prodotti cosmetici di alta qualità.
Ma non solo cosmetica. Dalle mele arrivano anche le scarpe, grazie all’idea di due giovani torinesi, Giulia e Filippo Gandini. Le scarpe Steve’s sono realizzate utilizzando componenti innovativi come AppleSkin, un materiale ricavato dagli scarti delle mele dell’industria alimentare.
Dalle arance arriva una moda possibile, tutta da indossare

Indossare delle arance non è poi così impossibile, se le fibre tessili sono prodotte dalla cellulosa dal “pastazzo degli agrumi”, un sottoprodotto della spremitura di arance e limoni composto principalmente da buccia, polpa e semi.
Grazie a una tecnologia brevettata nel 2014 dalla startup siciliana Orange Fiber, gli scarti della lavorazione degli agrumi, che fino a oggi costituivano un rifiuto industriale particolarmente impattante, vengono trasformati in un filato che può essere utilizzato sia in forma pura, creando tessuti 100% sostenibili, che combinato con altre fibre naturali, come la seta, per ottenere prodotti misti di altissima qualità. Il risultato è un tessuto setoso, leggero e altamente performante, ideale per le esigenze dell’alta moda, ma con un profondo rispetto per l’ambiente.
I filati di Orange Fiber hanno attirato l’attenzione sia dei brand della moda di lusso, come nel caso di Ferragamo, che ha utilizzato i tessuti nelle sue collezioni. sia nella moda di massa, come nel caso di H&M che ha portato i tessuti sostenibili Orange Fiber al grande pubblico.
Ma non solo arance: anche dagli scarti di lavorazione del latte si possono ricavare fibre tessili, come nel caso della Milk Protein Fiber già utilizzata da tanti produttori.
E non mancano le scarpe. Rens è una startup che produce sneakers a partire dai rifiuti di caffè (il cui spreco alimentare ammonta a sei milioni di tonnellate all’anno) e dalla plastica riciclata (ogni minuto viene gettato un milione di bottiglie). Ogni paio di scarpe Rens è fatto con 150 grammi di rifiuti di caffè e sei bottiglie di plastica riciclate.
Dai carciofi alle batterie delle automobili
Cosa c’entrano le arance e i carciofi con le batterie delle automobili? Lo si può chiedere al giovane startupper foggiano Raffaele Nacchiero che ha fondato AraBat, startup innovativa che ha inventato un nuovo processo di riciclo per batterie al litio di autovetture, smartphone, computer portatili e altri dispositivi elettronici. Come ci riesce? “Sfruttando un processo sostenibile basato sull’impiego di bucce d’arancia e scarti agroalimentari.
C’erano un po’ di dubbi su questa idea rivoluzionaria di utilizzare scarti biologici come arance e carciofi per riciclare batterie elettriche”, dice Raffaele, che sottolinea come da questa idea, all’inizio giudicata all’Università di Foggia come una sorta di missione impossibile, sia diventato “uno dei principali rappresentanti dell’innovazione pugliese”, tale da vincere la quindicesima edizione della StartCup Puglia.
La liquirizia allunga la vita delle merci
Fondata a Sassari nel 2024, Alkelux è una startup biotech nata dall’iniziativa di Matteo Poddighe e Davide Sanna. La startup sarda trasforma gli scarti di liquirizia in una soluzione innovativa per contrastare lo spreco alimentare prolungando la shelf-life degli alimenti (la durata di vita sullo scaffale di un prodotto) grazie a un bioadditivo antimicrobico, in forma di polvere, integrato nei materiali di confezionamento alimentare. Il risultato è che allunga la vita anche di frutta e verdura.
Quelle noci sotto i piedi

“All’inizio ci davano dei matti, poi al CES 2023 di Las Vegas siamo stati segnalati tra le novità più rilevanti di quell’edizione e lì abbiamo iniziato a conoscere alcuni dei brand con i quali oggi collaboriamo”, racconta Andrea Goldoni, founder della startup Gait-Tech che produce solette per scarpe con tacchi dai gusci delle noci.
Il dispositivo è una soluzione a basso impatto ambientale realizzata con materiali completamente sostenibili come scarti delle noci e cellulose che adottano la certificazione FSC (Forest Stewardship Council). “La nostra unicità – dice Goldoni – risiede nel fatto di utilizzare i gusci delle noci che in campo calzaturiero non usa nessuno ma che, in realtà, hanno caratteristiche antibatteriche particolari.
Così il nostro prodotto può essere definito totalmente green, rigenerabile e riutilizzabile”. E fa bene anche alla schiena.
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Scritto da Giovanni Franchini
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