L’Olio Extravergine di Oliva concentra in sé molte (se non tutte) delle peculiarità dell’alimentazione mediterranea: sinonimo di bontà, benessere e longevità. Già Egizi, Greci e Romani ne conoscevano e ne esaltavano le caratteristiche, anche ben oltre quelle che oggi sappiamo essere le sue reali proprietà.
Utile per regolare il colesterolo LDL (quello “cattivo”), lasciando inalterate le concentrazioni di HDL (il colesterolo “buono”); vera e propria miniera di antiossidanti – tra cui vitamina E, tocoferolo e vari composti fenolici –, capaci di contrastare gli effetti dell’invecchiamento precoce; e valido alleato dell’apparato digerente. Ora, in autunno, si raccolgono i frutti oleosi da cui tutto ha inizio e che ci accompagneranno alla scoperta della loro storia.
Storia dell’olio EVO. Dal Medio Oriente al di là delle colonne d’Ercole
L’olivo, pianta biblica che impreziosisce le coste del Mediterraneo, e l’olio, gioiello e simbolo dell’incredibile dieta che da queste stesse acque prende il nome, hanno una storia plurimillenaria. Sebbene bisognerà aspettare i Greci affinché le coltivazioni si diffondano in Europa, la sua domesticazione (il processo attraverso cui una specie animale o vegetale viene resa “domestica”) si perde nel tempo.
Si ritiene, infatti, che già 6-7.000 anni fa, in alcune zone dell’Asia Minore (corrispondenti pressappoco alle attuali Armenia, Palestina e India) fosse pratica diffusa.
Per comprenderne appieno l’importanza presso i popoli antichi, basti richiamare il mito greco secondo cui sarebbe stata proprio la dea Atena a donare la pianta d’olivo agli uomini, in competizione con Poseidone per la sovranità dell’Attica. Gli ateniesi poterono, così, garantirsi illuminazione, medicamenti e cibo, ragion per cui Zeus decretò la vittoria della dea che divenne, pertanto, la dea di Atene.
Dell’olio, infatti, l’uso alimentare non è affatto l’unico né il più antico. In passato, si adoperava prevalentemente come combustibile per lanterne, eccipiente per unguenti o cosmetico. In cucina, l’olio è usato da sempre per friggere e condire, ma bisognerà aspettare il Basso Medioevo perché si diffonda capillarmente fino a consacrarsi fiore all’occhiello della gastronomia mediterranea.
L’identikit dell’olio extra vergine di oliva italiano
Lungo i suoi viaggi, l’olivo ha trovato terreno particolarmente fertile proprio qui da noi, tanto da vantare più di 40 produzioni a marchio DOP o IGP in pressoché tutte le regioni d’Italia. Le ragioni dell’eccellenza dell’oro verde nostrano sono molteplici, a cominciare dall’incredibile quantità di cultivar – più di 500 – che da sole rappresentano oltre il 40% di tutte le varietà di olive conosciute nel mondo.
Va, poi, ricordata la peculiare configurazione geografico-territoriale del nostro Paese, che ha creato le condizioni ideali affinché una tale biodiversità potesse prosperare; così come la sapienza artigianale tramandataci dagli Antichi, che prevede tecniche di molitura completamente meccaniche, dette “a freddo”, in cui le olive – nello specifico, soltanto i frutti sani e raccolti, preferibilmente, a mano – vengono lavorate a una temperatura inferiore ai 27 °C, cosicché mantengano tutti i minerali e le vitamine del frutto, lasciando altresì inalterato il profilo organolettico.
Infine, a determinare la qualità dell’olio, va considerato il grado di acidità, che non deve superare lo 0,8%, e che negli oli di alto livello è generalmente inferiore, intorno allo 0,5%.
L’identikit dell’olio extra vergine di oliva italiano
Impossibile elencare le centinaia di produzioni olivicole italiane, ma vale la pena citarne alcune. In Umbria, ad esempio, troviamo oli di altissima qualità, grazie alle proprietà fisiche del territorio, il clima unico e una tradizione antichissima, risalente almeno al I secolo a.C., secondo i ritrovamenti archeologici. Non a caso, l’olio extravergine di oliva a marchio “Umbria” si è aggiudicato la DOP su tutto il territorio regionale.
Oppure in Toscana dove, oltre l’IGP Toscano su tutta l’area, si produce l’olio EVO Chianti Classico DOP nelle colline dell’omonimo vino, tre le province di Firenze e Siena. Queste zone vantano una tradizione documentata sin dalla metà del VII secolo a.C., e già nel 1716 un editto del Granduca Cosimo III de’ Medici ne delineò i confini, corrispondenti all’attuale area di produzione.
Una cultivar d’eccellenza è, poi, la Taggiasca, varietà a maturazione tardiva tipica della Liguria che, ad oggi, è l’oliva maggiormente diffusa in cucina, per via della sua versatilità: ottima in salamoia o sotto forma di paté, eccezionale se trasformata in olio extravergine. Protagonista di una storia travagliata, dopo un ventennale di battaglie l’Oliva Taggiasca Ligure ha (finalmente) ricevuto il benestare del Ministero per il riconoscimento IGP.
E con gli scarti dell’olio EVO? Cosa si può ottenere? Sansa e biocombustibili
Va da sé che la lavorazione delle olive, così come qualsiasi altra produzione, si lascia alle spalle una certa quantità di scarti, coi quali bisogna fare i conti. Ciò che rimane dopo il processo di estrazione dell’olio è tra i sottoprodotti agricoli più nocivi per l’ambiente, in particolar modo la sansa solida, le acque di vegetazione e gli scarichi dei frantoi. Ricchi di fenoli, ossia di composti caustici altamente tossici, tali rimanenze necessitano di un attento e corretto smaltimento al fine di contenerne l’impatto ecologico.
Molto avanzata, ad esempio, la ricerca sull’estrazione dei polifenoli dall’acqua di vegetazione per molti progetti legati al nostro benessere (I polifenoli delle olive sono dei potentissimi antiossidanti). Esistono poi alcuni progetti interessanti che, attraverso il recupero dei rifiuti derivanti dalla lavorazione delle olive, producono biocombustibili con il duplice obiettivo di contrastare l’impronta ambientale dell’industria olearia e di sviluppare un’alternativa sostenibile al combustibile fossile.
Tante sono le aziende e le startup che stanno sviluppando progetti finalizzati al riuso di tali rimanenze. Una su tutte, l’azienda spagnola produttrice di energia rinnovabile ENCE – Energia y Celulosa SA. Ben otto impianti di produzione, sparsi per tutta la Spagna, che utilizzano soltanto sansa di olive, foglie di olivo, resti lignei e altri scarti agricoli come combustibile primario per la produzione di energia elettrica.
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Scritto da Nicolò Pistone
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