L’Italia del riso. Un patrimonio di chicchi, territori e tradizioni
Quella del riso italiano è una storia che inizia da lontano, con le prime coltivazioni introdotte in Pianura Padana intorno al XV secolo, quando le bonifiche aprirono la strada alla coltura del riso nelle zone umide del Nord Italia.
Da allora, l’Italia ha saputo creare non solo grandi varietà, ma anche un legame strettissimo tra riso e paesaggio, tra cucina e cultura locale, come testimoniato nel celebre film Riso Amaro, capolavoro del neorealismo che nel 1949 fece conoscere a tutto il mondo la realtà delle mondine che coltivavano il riso cantando canzoni popolari.
Oggi questo patrimonio è tutelato e valorizzato attraverso le certificazioni DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), che garantiscono l’origine, il metodo di produzione e la qualità del riso.
Da nord a sud, lungo le risaie piemontesi, le acque del Delta del Po e le terre vulcaniche del veronese, l’Italia custodisce una straordinaria biodiversità risicola, fatta di varietà antiche, territori da sempre dediti alla produzione e denominazioni di qualità che raccontano storie agricole e culturali profonde e radicate nella cultura e nella gastronomia italiana.



Riso italiano IGP e DOP: tra qualità, biodiversità e territorio
Solo tre aree in Italia vantano risi con queste denominazioni ufficiali: la Baraggia Biellese e Vercellese (DOP), il territorio veronese del Vialone Nano (IGP) e il Delta del Po tra Veneto ed Emilia-Romagna (IGP). Ognuna racconta una storia diversa: di clima, di suolo, di acqua, ma anche di mani che da secoli coltivano, selezionano e trasformano un prodotto che è parte integrante dell’identità locale.
In un mondo che tende all’omologazione alimentare, questi risi rappresentano una forma di resistenza culturale e agricola. Varietà selezionate, lavorazioni tradizionali e metodi rispettosi dell’ambiente rendono questi chicchi unici e irripetibili altrove.
Come riconoscere un vero riso DOP o IGP
Etichetta, tracciabilità, certificazione. Il primo passo è leggere con attenzione ciò che è stampato sulla confezione: il logo DOP o IGP deve essere visibile, così come l’indicazione del consorzio di tutela o dell’ente certificatore.
Spesso la vera differenza si trova nei piccoli dettagli: provenienza precisa, molitura artigianale, confezionamento in atmosfera protetta.
Diffidare dei prezzi troppo bassi è un buon punto di partenza. Un riso DOP o IGP è frutto di un lavoro meticoloso, spesso manuale, e di filiere corte che privilegiano la qualità alla quantità.
E quando lo si assaggia, la differenza si sente: nel profumo, nella consistenza, nel sapore. È il gusto del territorio, in ogni chicco.

Scopriamo insieme le tipologie più note di riso italiano.
Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP: il più montano dei risi
Alcuni racconti narrano di pastori che, durante la transumanza tra le paludi del Vercellese e gli alpeggi, seminavano riso nel sottile strato d’acqua delle risaie per raccoglierne, al ritorno, i chicchi germogliati.
Una leggenda che dà al Riso di Baraggia un’origine quasi mitica. È del 1606 il primo documento ufficiale, all’interno di un atto di compravendita di un terreno, nel quale un notaio di Salussola certifica l’uso del terreno come “risera”.
Il Riso di Baraggia è l’unico che può fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta. Cresce ai piedi delle Alpi, dove l’acqua di fusione dei ghiacciai nutre le risaie con freschezza costante.
Questa particolarità climatica crea un microclima più fresco, con escursioni termiche marcate, e fa sì che il chicco cresca più lentamente, risultando più consistente, compatto e resistente alla cottura.
Sono ammesse solo sei varietà all’interno della DOP: Arborio, Baldo, Carnaroli, Sant’Andrea, Loto e Gladio. Tutte coltivate secondo un disciplinare rigoroso, che vieta l’uso di fanghi e limita i fertilizzanti.
Il risultato è un riso che esprime il carattere forte del suo territorio: montano, ma vocato all’acqua. È perfetto per risotti robusti e saporiti, da quelli di carne ai funghi porcini.

Nano Vialone Veronese IGP: il re veneto dei risotti
La sua origine risale agli anni ’30, quando venne selezionato per la sua resa e la sua versatilità. La zona di coltivazione IGP comprende 24 Comuni del Veronese, dove si pratica ancora la sommersione naturale con acque di risorgiva.
A Isola della Scala, uno dei luoghi principali della coltivazione su un territorio segnato dai fossi e dai mulini in legno, il riso è il frutto di una sfida di fatica, malaria e sapere contadino che ha trasformato la zona nel cuore del riso veronese.
Il protocollo è rigoroso. Per ottenere l’IGP, le risaie devono essere gestite seguendo pratiche di rotazione colturale, controlli su semi e suolo e tracciabilità totale dalla semina al sacco.
Il risultato è un riso semifino, con chicchi piccoli e tondeggianti, capaci di assorbire i condimenti in profondità mantenendo una texture cremosa.
A Verona è l’ingrediente irrinunciabile del “risotto all’isolana”, con carne di maiale, rosmarino e cannella. La sua IGP tutela sia il metodo di coltivazione sia le fasi di lavorazione, che devono avvenire interamente nel territorio.
Riso del Delta del Po IGP: la perla tra le acque
Una coltura che ha “strappato” la terra al mare: le prime risaie nel Delta risalgono al 1450–1490, quando la coltivazione del riso fu utilizzata per bonificare le terre salmastre scaturite dai depositi alluvionali del Po, dove prosperavano solo paludi.
Coltivato tra le province di Rovigo e Ferrara, il Riso del Delta del Po cresce in un paesaggio unico: una zona umida e salmastra, dove l’incontro tra acqua dolce e acqua di mare crea condizioni irripetibili. Il terreno sabbioso e la forte escursione termica tra giorno e notte donano ai chicchi una struttura compatta e un sapore delicato.
Le varietà più coltivate sono Arborio, Baldo, Carnaroli e Volano. L’IGP garantisce non solo l’origine, ma anche la qualità delle acque utilizzate e l’assenza di contaminazioni industriali.
È un riso particolarmente indicato per i risotti di pesce, le preparazioni leggere e le insalate di riso moderne, grazie alla sua capacità di rimanere separato e sodo anche a freddo.



Cucinare con i risi italiani: abbinamenti e usi migliori
Ogni riso ha il suo piatto ideale. Il Baraggia si presta ai risotti corposi, il Vialone Veronese ama i condimenti cremosi e speziati, il Delta del Po esalta le ricette di mare e le preparazioni fresche.
Ma tutti condividono una virtù: la capacità di trasformare un piatto semplice in una narrazione di territorio.
Non solo risotti: questi risi si prestano anche a timballi, arancini, supplì e perfino dessert come il risolatte o le torte di riso della tradizione emiliana. L’importante è conoscerne la personalità e rispettarne la natura.
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Scritto da Giancarlo Sammartino
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